La bambola di cristallo – Recensione di Dario Geraci

Commentare un’opera di Genio è arduo, soprattutto quando si conosce,non solo l’identità del Genio in sé, ma anche e soprattutto il suo retroterra culturale.

Stiamo parlando de “La Bambola di cristallo” ultima esperienza visionaria di Barbara “Luna” Baraldi, già autrice del fortunato “La collezionista di sogni infranti” (Perdisa) e di diversi altri racconti sparsi nella foresta nera delle antologie letterarie.

Diceva, Giorgio Scerbanenco, uno dei più grandi scrittori italiani di sempre:

“La vita è come un pozzo delle meraviglie, ci puoi trovare di tutto: stracci, brillanti e coltellate alla gola”, tutti elementi che l’Autrice ha saputo sapientemente calibrare come il più raffinato degli allibratori, in una miscellanea elegante e morbosa al punto giusto.

Riscontriamo in Barbara Baraldi, un citazionismo che va ben oltre il mero saccheggiamento visivo ai film italiani degli anni ‘70; dovremmo parlare piuttosto, di un certo gusto “conservativo” e “restauratore” per quello che forse era il canone fondamentale che fece la fortuna di quelle pellicole: “L’estetizzazione della morte” e “La sensualità dell’omicidio”.

Potremmo certamente riscontrare “felici similitudini” tra i Gialli post-Argentiani di Sergio Martino, vero poeta del Sex&Violence, o addirittura di figliatura artistica nel caso dell’iberico Jesus Franco ma, cadremmo nel errore fatale, di standardizzare e inaridire un’opera, anzi un trittico, che travalica il citazionismo artistico e sconfina nella letteratura tout-court.

Vi è, nel tratteggio che la Baraldi fa della donna, un gusto oserei dire Dannunziano (ricordando “Le vergini delle rocce”), una prosa descrittiva che ammaglia e stordisce, un respiro “largo” che, consapevolmente o meno ri-porta il “genere” alla propria collocazione originaria ovvero quella di parente nobile della cosiddetta Letteratura d’Autore.

“La trasgressione è la glorificazione del limite” asseriva Foucault, mai paradigma fu più appropriato per sintetizzare la struttura “scenica” su cui poggia la produzione Baraldiana.

L’ambiguità, la perversione, il sadismo non in contrapposizione con la “normalità” ma facenti parte della normalità spessa, resa più che mai solo “apparente”.

Tre storie diverse, tre viaggi nel labirinto della psiche umana.

Se ne “La bambola dagli occhi di cristallo” (il racconto che apre questo numero de Il Giallo Mondadori Presenta) e nel successivo “Il giardino dei bambini perduti” l’autrice si cimenta col thrilling tout-court,andando ad omaggiare tutto quel cinema di cui parlavamo precedentemente è con il terzo racconto “Soave” che l’elemento innovativo si propone e si instaura nell’opera della scrittrice.

Il Noir, quell’etichetta troppo spesso “sprecata” per umili mestieranti che imbrattano la pagina con un qualsivoglia elemento “scabroso” unito all’indagine poliziesca, fa capolino, e lo fa in maniera netta, decisa, tagliente, tra le pagine conclusive dell’opera.

“Soave”,un apostrofo nerissimo, una parabola discendente cruda e senza redenzione dell’Italia rurale; come a dire,”Il noir non è affare solo delle grandi metropoli, anche la provincia sa essere letale.”

In conclusione, ci troviamo innanzi ad un duplice viaggio.

Un viaggio all’interno della letteratura, con un autrice che ama sperimentare e che è molto abile nel farlo.

Un incessante gioco di contaminazioni che arricchiscono un prodotto certamente mai banale che inspessiscono e corroborano un linguaggio artistico assolutamente valoroso e suggestivo.

Un viaggio all’esterno, nel mondo dell’”altro” , visto,a volte con gli occhi dell’innocenza a volte con gli occhi di chi l’innocenza se l’è giocata a carte con la vita.

Ciò a cui ci ha abituato Barbara Baraldi è: se vuoi tendere all’eccellenza gioca a carte scoperte col nemico e se il nemico bara…uccidilo!

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