La casa dagli specchi rotti – incipit

Il mio vizio è una stanza chiusa - copertina1. L’illusione di un giorno

“Come stai, Laura?”

“Bene. Mi sento molto bene, oggi”, risponde la ragazza, la testa lievemente piegata a lato. Un piccolo cigno dal collo delicato.

La stanza è così luminosa da risultare assordante. Le pareti bianche riflettono la luce, Greta accavalla le gambe e cerca gli occhi della giovane. È tutto troppo bianco, pensa. Fosse per me renderei l’ambiente più intimo, caldo. Non c’è neppure una pianta, non dico fiorita, almeno un sempreverde.

“Hai fatto una passeggiata nel parco? C’è un bel sole oggi”, chiede dopo una piccola pausa.

“No, avevo voglia di leggere”.

“Cosa stai leggendo?”

“Poesie d’amore di Pablo Neruda”, risponde Laura.

“E ti piacciono?”

“Sì, anche se a me nessuno dirà mai cose del genere”, dice e alza le spalle in segno di scherno. O di resa.

“Perché dici così? Sei una bella ragazza, non hai niente che non va. Ti ricordi di cosa abbiamo parlato la scorsa settimana? Essere propositivi attira la positività”.

Laura si alza in piedi e solleva la maglietta mostrando il ventre piatto, le ossa sporgenti. Svela un piccolo segreto. Un libro dalla copertina lisa che teneva infilato nei pantaloni.

Apre una pagina a caso, si schiarisce la voce:

Per il mio cuore basta il tuo petto,

per la tua libertà bastano le mie ali.

Dalla tua bocca arriverà fino al cielo

ciò che stava sopito sulla mia anima.

La voce trema appena, gli occhi si staccano dalla pagina e guardano fuggenti l’interlocutrice incredula.

È in te l’illusione di un giorno.

Giungi come rugiada sulle corolle.

Scavi l’orizzonte con la tua assenza,

eternamente in fuga come l’onda.

Occhi lucidi, si morde le labbra e rimane immobile di fronte alla scrivania, incapace di continuare con la lettura, incapace di sedersi, di parlare, di agire.

“Bellissima, Laura. Davvero una bella poesia. Adesso siediti, parliamo un po’ di te. Ti va?”, chiede la donna, tono basso, suadente. Si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sorride.

“Nessuno…”

“Cosa dici?”

“Nessuno ha mai sentito la mia mancanza”, sussurra la ragazza.

“Forse nessuno te lo ha mai detto chiaramente, a volte si fatica a esprimere i propri sentimenti. E a te cosa manca, Laura?”, chiede Greta. Ha occhi scuri, celati da occhiali da vista con montatura rettangolare. Nera. I capelli castani, al sole, assumono tonalità rossicce. Le labbra sono sottili e il naso regolare. Il viso austero a contrasto con il corpo morbido, un seno procace, fianchi sinuosi.

Greta ama il suo viso. Il suo corpo no, ha imparato ad accettarlo, ma non lo sente suo. Troppo ingombrante, femminile. Attira gli sguardi degli uomini, il suo corpo.

“Cosa ti manca Laura?”, chiede nuovamente.

“Il suo respiro”, risponde in un soffio.

“Il respiro di chi? Puoi spiegarti meglio?”

“La notte mi mettevo a letto, ma non potevo dormire. Agitata, fissavo il soffitto; il lampadario sembrava fatto di braccia. No, un polipo. Pronto ad afferrarmi. Non avevo paura di lui. Rimaneva immobile a sovrastare il piccolo mondo della mia stanza. Si limitava a fissarmi o forse mi minacciava, poco importa. Sapevo che non poteva farmi male”.

“E di cosa avevi paura, Laura? Riesci a ricordare?”

“Il suo respiro. Da quella distanza non potevo sentirlo. Rimanevo in silenzio, cercavo di controllare i battiti del cuore, azzittivo gli ansimi agitati, restavo ferma. Riuscivo a paralizzare i muscoli, anche il sangue scorreva più lentamente per permettermi di scrutare meglio il silenzio. Ugualmente non riuscivo ad afferrarlo. Troppo lieve, il suo respiro”, spiega la ragazza. La voce si è fatta sottile, una nenia. Si siede con lentezza, lo sguardo smeraldo si perde nella copertina del libro racchiuso tra le sue mani: “Allora mi alzavo, scalza, in punta di piedi. Nell’attraversare il corridoio percepivo un terrore cieco. Il terrore che si prova quando ami troppo qualcuno e hai paura di perderlo. Il suo respiro, dovevo sentirlo, assicurarmi che tutto andasse bene. Non correvo. No, se avessi corso la paura mi avrebbe sopraffatta. Mi limitavo a camminare in punta di piedi, nell’oscurità. E poi finalmente guadagnavo la porta della sua stanza e…”

“Continua Laura, cosa vedi?”, la sprona la dottoressa.

“Lo scuro spalancato, il vetro socchiuso, le luci artificiali che provengono da fuori illuminano il buio, dentro. Io sono in piedi sullo stipite, un piede sull’altro. Ho il fiato corto. Il mio respiro non mi permette di avvertire il suo respiro nonostante la breve distanza. Ho paura”.

“Non aver paura. Ascolta meglio, Laura”.

“La culla. La vedo. Campeggia al centro della piccola camera. Tutta ornata di pizzi bianchi, nella penombra mi inquietano, sembrano drappi di fantasmi. Sopra la culla c’è una tendina di garza che penzola dal soffitto. Si muove, danza. Una danza macabra”.

“Chi c’è nella culla, Laura?”

“Non sento il suo respiro, non riesco a sentirlo! Ho le gambe pesanti, il drappo penzola sulla culla, una danza macabra, e io ho bisogno di avvertire il suo respiro, ho bisogno di vedere il piccolo petto alzarsi e abbassarsi al ritmo della vita. Scosto la garza febbricitante. È così piccolo e scuro. Ha pochissimi capelli e giace immobile con la testolina a lato, prono. Avanzo con la mano verso il volto. Trema la mia mano. Ecco, sono a un passo dal suo fiato. Respira! L’alito caldo contro il palmo. Mi lascio cadere ai piedi del minuscolo giaciglio. La tranquillità stabilizza i battiti cardiaci, non ho più bisogno di ingurgitare aria, non ho più bisogno di niente. Sto bene adesso, i miei sensi si dilatano. Adesso posso sentire. Improvvisamente avverto la melodia sottile della vita che scorre dentro di lui. Inspira, espira. Inspira, espira, il mio fratellino. Lo sento fragile, ma è vivo. Hai mai sentito parlare di morti bianche? Muoiono di notte, le piccole anime. Il mattino sono già freddi. Mio fratellino è un piccolo tesoro, mi prenderò cura di lui, lo aiuterò a crescere. Lo proteggerò e la notte non potrà portarmelo via”.

Silenzio. Pareti bianche. Nessun fiore, nemmeno un sempreverde. La luce inonda la stanza, mette a nudo le anime, scandaglia i pensieri. Greta guarda la ragazza seduta di fronte a lei. Rannicchiata, il libro tra le mani, fissa la copertina e sorride, adesso.

“Laura, ne abbiamo già parlato tante volte”.

La ragazza muove la testa da destra a sinistra. Un no muto.

“Laura, tu vuoi guarire, vero?”

La testa si muove dall’alto al basso lentamente. Sì, una preghiera.

“Laura. Tu non hai mai avuto un fratello. Sei figlia unica, ricordi? Ne abbiamo già parlato. Laura, guardami. Tu non hai mai avuto un fratellino”.

[continua…]

La novella “La casa dagli specchi rotti” è contenuta all’interno dell’antologia “Il mio vizio è una stanza chiusa” (Giallo Mondadori) in edicola a partire da Novembre 2009

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