La paura fa bene?

In attesa delle novità di questa primavera (ce ne sarà più di una 😉 ) riporto la versione integrale della conversazione con Massimo Marino apparsa qualche tempo fa sul Corriere della Sera.

La paura fa bene: conversazione con Barbara Baraldi

“Vero e fighissimo gotico. Me lo sono bevuto”: è schematico ma efficace il giudizio che una star del noir come Massimo Carlotto dà di Lullaby, uno degli ultimi romanzi di Barbara Baraldi. Nata a Mirandola, abitante a San Felice sul Panaro, questa ragazza di provincia dagli occhi verdi penetranti e dall’aria molto dark è il nuovo fenomeno del thriller italiano. Vincitrice dei più importanti premi di settore, segnalata dalle riviste specializzate ma anche da “Vanity Fair”, “Vogue” e dal “Sole 24 ore”, riesce a tenere incollati alle sue pagine insinuando il mistero e il terrore in scenari di vita normale. Nel 2010 ha pubblicato per i Gialli Mondadori Bambole pericolose, ambientato in una Bologna violenta e esoterica, Lullaby. La ninnananna della morte per Castelvecchi e Scarlett per Mondadori.

Tre libri tra febbraio e maggio. Un vero record.

“In realtà è stato un caso, dovuto a vicende editoriali. Bambole pericolose, seguito di un libro uscito anche in Inghilterra, doveva essere pronto in agosto dell’anno scorso ed è slittato. Lullaby ha avuto varie revisioni…”.

Si riconosce nella definizione di regina del thriller gotico italiano?

“In parte sì. Sono quelle le atmosfere che mi hanno fatto nascere la voglia di scrivere. I primi libri che mi sono comprata da sola, a 13 anni, sono Dracula e Frankenstein”.

Ho letto che Morticia Addams è un suo modello…

“Sin da quando ero piccola mi è sempre piaciuto il lato oscuro. Invece dei cartoni più solari guardavo La famiglia Addams. Ho smesso di mangiarmi le unghie per averle lunghe come quelle di Morticia. A 11 anni avevo chiesto il mio primo smalto nero, e sono riuscita ad averlo a 13”.

È vero che lo usava per scrivere sul muro della sua stanza?

“Sì. Ho sempre avuto il feticismo della parola. Certe frasi che mi piacevano dovevo scriverle sul bianco della parete per averle sempre davanti, quando mi alzavo al mattino, quando andavo a letto la sera”.

Sua madre era contenta?

“Non molto. Ha fatto ridipingere la stanza due volte. Poi ha rinunciato”.

Si legge che è anche modella e fotografa…

“Ho fatto la modella per pagarmi un corso sulla fotografia in movimento che costava 250.000 lire al giorno. Era a Bologna. Poi ho continuato a sfilare”.

E con la fotografia?

“Ho esposto nell’ambiente alternativo bolognese, al vecchio Link di via Fioravanti e al Cassero. Ho fatto una mostra in occasione del mio primo romanzo, pubblicato con lo pseudonimo di Luna Lanzoni, La ragazza dalle ali di serpente, nel 2007. Mi piaceva l’idea di parlare un unico linguaggio con le immagini e la scrittura”.

Continua a fotografare?

“Ho molto meno tempo, ma appena posso lo faccio. Le foto mi ispirano scene dei romanzi. Prima di iniziare a scrivere Scarlett, che è ambientato a Siena, ho scattato immagini della città. Ho scelto scorci non turistici, atmosfere che mi piacevano. A partire da quelle foto ho costruito alcune scene della storia. È bello e molto immediato unire i due linguaggi”.

Con Bologna ha avuto molti altri rapporti. Ha pubblicato due romanzi brevi nella collana PerdisaPop.

“Bologna la considero la mia città. Io sono nata in provincia di Modena: da ragazzina prendevo il treno del Brennero per venirci. Mi ha ispirato in tutto e per tutto. Mi piaceva perdermi nelle sue strade. Nel primo romanzo appare la finestra di via Piella che dà sul canale di Reno. Vi ho ambientato i due romanzi per i Gialli Mondadori, La bambola dagli occhi di cristallo e Bambole pericolose”.

Come la vede?

“In un’intervista alla Bbc sul noir italiano (rispondevano anche Carlotto, Lucarelli e pochi altri), ho sfatato una certa immagine di città mangereccia, tutta tortellini. Bologna ha un lato oscuro fortissimo. È una dama vestita di veli e merletti. Ha luoghi misteriosi come il portico della Morte, le sette chiese edificate su un tempio di Iside, la chiesa dove si conserva da quattrocento anni il corpo intatto di Santa Caterina de’ Vigri… È proprio magica e gotica”.

La pubblicazione nei Gialli Mondatori la considera una consacrazione?

“È stata una grandissima emozione. Avevo vinto il premio del Gran Giallo e mi contatta l’editor di Mondadori. Mi ha chiesto se avevo qualcosa di pronto, gli ho fatto leggere un romanzo e dopo sei mesi l’ha pubblicato. Nei Gialli Mondadori, che escono dal 1929! Mia madre ne ha un sacco a casa”.

Possiamo definire i suoi romanzi fiabe oscure che esplodono nella tranquillità della provincia italiana?

“Sì, perché niente è violento come la fiaba. Nella versione originale di Biancaneve la matrigna è uccisa facendole calzare scarpette di metallo roventi… Da bambina rimanevo scioccata di fronte a quella violenza, che apriva però le porte della percezione, perché di fronte agli orrori il bambino vuole sapere, andare avanti. Per i miei romanzi mi sono ispirata all’atmosfera delle fiabe, dove c’è sempre una venatura romantica che irrompe violenta in una realtà per certi versi quotidiana, per altri fantastica”.

In Lullaby la storia si svolge in un paese. Si è ispirata al suo?

“Non nomino il luogo. Può essere un paese qualsiasi. Tutti i paesi sono uguali, come nella Casa delle finestre che ridono di Pupi Avati: tutti conoscono tutti e al momento del bisogno nessuno ti aiuta. Io guardo al paese in tutte le sue angolazioni, al bello e al negativo. È un inno al paese, con tutte le dicerie, le violenze e quello che non ti fa essere te stesso perché rischi di essere giudicato. Il paese è una realtà molto dolce e molto violenta, una cosa strana, fatta di contrasti. E io li ho messi tutti nel romanzo: ci sono il bar, le passeggiate in agosto, quando pare non vi abiti nessuno, quando sembra l’ultimo posto della fine del mondo. Molti lettori mi hanno detto: è il paese dove abito io. In realtà è un luogo che non esiste, anche se ci sono parti di luoghi esistenti. La strada dell’ex acquedotto è una strada di San Felice che da piccola mi faceva paura: era l’ultima strada, poi c’era la campagna. Si vedeva il nulla e in lontananza questo acquedotto. Poi c’è la casa ‘della vecchia signora’, la classica casa di campagna un po’ strana su cui tutti noi abbiamo fantasticato su chi ci abitava prima. È il luogo dove si rifugia uno dei protagonisti in uno dei momenti clou del romanzo”.

Per Scarlett ha cavalcato un po’ l’onda di Twilight?

“Non ci sono vampiri. Mi piacerebbe scrivere una storia di vampiri, ma ora sono troppo alla moda. È un romanzo sull’amore e i suoi demoni, non solo metaforici. Ci sono atmosfere molto più horror e personaggi più profondi, reali, che in Twilight”.

È un romanzo per adolescenti?

“Sì, ma anche gli adulti vi si possono riconoscere. I miei lettori abituali lo hanno apprezzato. Ci sono anche accenni musicali, con testi di canzoni, alcuni inventati da me, ispirati alla musica che mi piace, a David Bowie, agli Afterhours, ai Marlene Kunz, ai Guns N’ Roses. Ci sono molte cose di me. Mi sono rifatta alla nostra Italia, mi piace parlare di quello che conosco, della musica, di storie d’amore, di famiglia. Scarlett, una ragazza di sedici anni, si trasferisce in un’altra città…”.

Cosa ha in cantiere nei prossimi mesi?

“Posso ufficializzarlo, ed è la prima volta che lo dico: sto preparando il seguito di Scarlett, una storia d’amore e di tradimento ancora più oscura, dove entreranno altri temi, come quello romantico dell’amor sacro e dell’amor profano, dell’amore vero e di quello passionale, che spinge a fare cose con l’istinto, non con la ragione”.

Barbara Baraldi è così gotica come i suoi romanzi?

“Mi piace la donna femminile, come Morticia, come le attrici degli anni ’30 e ’40, Greta Garbo, Lillian Gish, Louise Brooks. Il personaggio di Ofelia in Scarlett, che avrà più spazio nel seguito, con il suo caschetto è ispirato a Louise Brooks e alla Valentina di Crepax. Ho una gran passione per gli anni ’30 e per questa estetica femminile un po’ cupa, che però nasconde una sensualità non sbattuta lì. A me non piacciono le cose esplicite, alla luce del sole. Preferisco nascondere. Invito anche il lettore a scoprire un mondo nuovo. Fino a qualche anno fa non si parlava tanto del gotico, adesso si sta diffondendo grazie alle Gothic Lolitas e alla moda orientale”.

Lei da adolescente frequentava i luoghi dark?

“Sì, andavo nell’unica discoteca dark, il Condor a Modena, che è stata chiusa dopo 25 anni di attività. Venivano ragazzi anche dalla Svizzera e dalle Francia. Era come tornare nel medioevo: c’erano uomini con merletti bianchi, pantaloni e scarpette a punta, donne vestite da dame. Quando mi ci hanno portato, ho scoperto che quello era il mio ambiente musicale. Io non ballavo e là nessuno mi parlava: era come se le persone fossero sole con se stesse, ascoltando musica. Ho trovato una dimensione mia, dell’introspezione, che non è stare soli con se stessi. Era un luogo da cui guardare il mondo con meno confusione che in altri tipi di locali”.

Provare paura, serve?

“Stephen King dice: leggere della paura è come esercitarla, allenarsi alla paura per affrontarla meglio nella vita di tutti i giorni. Io la immagino come farfalle nere d’inchiostro che man mano che scrivi volano via. Scrivere di paura è il modo migliore per esorcizzarla. Qualche donna mi scrive: vorrei leggere i tuoi libri, perché il tuo personaggio mi incuriosisce molto, ma ho paura. Io rispondo: sono storie di amicizia e di amore dove entra anche la paura, quella che c’è nella vita di tutti i giorni. Appena li prendono in mano, si liberano dal timore e iniziano a collezionarli e a volerne leggere sempre di più. Sembra che in un libro tu riesci a incanalarli gli incubi. È proprio la paura che ti fa aver paura di leggere un libro di paura. E non è un gioco di parole”.

Articolo di Massimo Marino

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