Bambole pericolose: Thabir

Il campanello suona ma nessuna risposta. L’eco del suono metallico si perde rimbombando nel vuoto del lungo corridoio.

La giovane donna scende le scale della palazzina. Corre sui tacchi a spillo con la sicurezza di un’amazzone in battaglia. La sua battaglia è la seduzione.
Scende un piano ancora. Il corridoio angusto, la penombra inconsistente, il cuore aumenta i battiti. Tum tum.

La venere dai capelli d’ebano porta la mano al petto e ascolta la melodia del suo affanno. Gli scantinati, i garage sotterranei le hanno sempre fatto paura. Uno sgomento atavico.
Le stanze sotto il livello del mare. Sotto terra. Dove si finisce da morti.
La morte. La terrorizza e la eccita.
La musica fuoriesce dalla pesante porta in metallo basculante. Lei bussa, sorride tra sé e sé, passa la lingua sulle labbra carnose. Nessuna risposta e allora appoggia le natiche al freddo metallo, solleva la gamba e pianta il tacco come fosse un piccolo ariete pronto a sfondare un antico portone.
Un suono secco, un altro ancora. Colpisce con forza la porta che vibra sotto i fendenti di quella femminilità selvaggia.

Stacca il contatto e resta in attesa. Qualcuno dall’interno abbassa la musica e dopo pochi istanti la pesante porta comincia a sollevarsi. Un uomo sudato e muscoloso si china guardando in cagnesco oltre la fessura che si è ritagliato. Davanti ai suoi occhi gambe affusolate racchiuse in collant di seta nera.

“E tu cosa ci fai qui?”
La ragazza si abbassa e si lascia scivolare all’interno del garage semivuoto.

C’è un sacco appeso a un gancio da macellaio che penzola dal soffitto e uno stereo sul pavimento. A lato una sedia malandata con sopra un paio di asciugamani.
“Sei tutto sudato”, sussurra lei.
“Mi stavo allenando. Non dovresti essere qui. Non voglio avere problemi”.

L’amazzone sui tacchi a spillo gli si avvicina. Lui è un armadio di carne, muscoli e ossa. Canottiera scura fradicia di sudore. Le fasce nere attorno alle mani.

“Tu sarai il mio campione. Ti ho scelto come le regine sceglievano i cavalieri nei tornei dei tempi lontani in cui si scrivevano versi per le proprie dame e l’onore scorreva nel sangue degli uomini. Tu sei un uomo d’onore?”
“Sì”, risponde lui d’istinto prima di fare un passo indietro e portarsi inconsciamente in posizione di difesa.

Thabir gli volta le spalle. Chinandosi sui tacchi abbassa con uno sforzo il basculante. Torna all’attacco guardandolo oltre il verde brillante dei suoi occhi. Un altro passo, si avvicina pericolosamente. Le mani sulle mani. Gli abbassa la guardia.
“Cosa sei venuta a fare? Te l’ho detto e te lo ripeto, non voglio problemi”, ripete come un disco incantato.

Ma è troppo tardi. E’ il problema a volere lui. Che senza accorgersene si ritrova cinto dalla gamba velata di nero. La ragazza dai capelli neri si alza in punta di piedi e gli morde il labbro inferiore, poi comincia a leccargli la bocca. “Sarai il mio campione? Ho scelto te. Sarai degno di portare il peso di quest’onore?”

“Sì, mia Regina”.
“Allora prendimi, cosa aspetti?”
Lui la solleva di peso e la bacia con violenza. Poi l’attacca al muro e si ferma un istante.

“Lui non saprà mai niente”, lo anticipa la seduttrice.

Commenti

commenti

Rispondi